Tana della Mandragora

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Vuole una Voce

Vuole una Voce

C’è una mano sulla mia spalla. La sento ogni notte quando do la schiena alla stanza. Voglio dormire, la ignoro, ma il tocco gelido mi fa rabbrividire anche sotto le numerose coperte che mi avvolgono. Non posso far altro che aprire gli occhi, agghiacciati dall’ansia di cosa troverò voltandomi. E per un momento non faccio altro che ammirare il vuoto, l’oscurità, ancora di spalle e consapevole che il tocco gelido non se n’è andato. La mano è lì. Immobile, ma pulsante. La sento che preme leggermente, quel che basta per dirmi che la presenza non si è mossa. So cosa vuole. Parole. Vuole essere nutrita di significati e di immagini, condividere quelle sensazioni che così affilate trafigge in me, evocare il terrore che nel cuore della notte mi provoca interminabili fremiti. Il richiamo del terrore ha bisogno di una voce per creare un eco che si prolunghi nel tempo. Vuole essere raccontata, resa immortale tra le pagine di un libro che nessuno avrà più il coraggio di dimenticare. Vuole insinuarsi nell’anima del mondo. E’ sufficiente che le dia la voce, lei questo lo sa. Le coperte iniziano ad essere pensanti e soffocanti. Mi sento schiacciare dal loro peso e, a malincuore, rinuncio allo scudo che mi ero creata, per liberarmi e sentirmi spoglia e vittima di quella mano che ancora preme su di me. Mi dirigo alla cieca alla mia scrivania. Non è necessario che io veda; quel movimento l’ho compiuto tante volte e quante ancora mi attendono finché non avrò soddisfatto la fame di colei che controlla quella mano. Accendo il computer, la mannaia ancora sulla spalla, e lascio che la luce blu mi accechi per un momento. Tanto, nemmeno perdendo la vista potrei sfuggirle. Le mie dita ricordano a memoria la posizione dei tasti. Prendo fiato. “Cosa vuoi raccontare?” Un urlo acuto, profondo, tremendo si innalza dalle mie membra fino a squillare fremente nella mia testa. Lo stridio mi stordisce e penso di poterci lasciare le penne una volta per tutte. Il cuore può reggere fino ad un certo punto quella pressione, non è vero? La voce si fa più pungente, una lama sottilissima che esce dal mio petto e macchina di sudore le mie mani. Inizio a scrivere. Non posso fare altro. La voce cerca le sue parole, la mano stringe sulla spalla e sento le unghie putride che danno il ritmo al mio tamburellare sulla tastiera. Quelle parole, regneranno negli incubi del mondo.